TRINACRIME: Recensione di D. Domenici

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Sottotitolo: Storia di un pentito di mafia, e in quarta di copertina L’educazione criminale di un ragazzo catanese: dagli anni Settanta ai nostri giorni, ascesa, caduta e redenzione di un pluriomicida. Questa brevissima sinossi non rende merito alla bellezza di questo libro, che nonostante la mole di 310 pagine e la storia raccontata è volato via in un soffio, almeno per la sottoscritta che l’ha divorato per una serie di motivi che vado a elencare. Dalla prefazione dell’autore: Questo romanzo è tratto da una storia vera ed è frutto di un’intervista durata sette giorni per una trentina di ore di registrazione audio in presa diretta. La maggior parte degli eventi narrati… è realmente accaduta nei luoghi, nei modi e nei tempi descritti… i nomi e i cognomi, invece, li ho dovuti in gran parte inventare o modificare… Inizio dal motivo stilistico (e qui parla la correttrice di bozze ed editor): era da tempo immemorabile che non mi capitava di leggere un libro senza nessuna di quelle mancanze (chi mi segue da tempo sa a cosa mi riferisco) che, purtroppo, infarciscono la maggioranza, se non la totalità, dei libri che mi è capitato di recensire, una perla rara, un valore aggiunto che va sottolineato. Un altro dei motivi che mi hanno fatto innamorare da subito del libro di Vizzino è il mio essere molto sicula, frase che ha fatto sicuramente sorridere l’autore il quale ha scelto di lasciare la quasi totalità dei dialoghi in lingua siciliana stretta, catanese per l’esattezza, con qualche traduzione una tantum a piè di pagina, e che mi ha fatto apprezzare sin nelle minime sfumature ogni parola e ogni modo di dire; inoltre conosco molti dei luoghi che vengono citati durante la storia e questo un motivo ulteriore di piacere da parte della sottoscritta. L’altra ragione è che sono stata per due anni, come molti di voi forse sanno, volontaria in un carcere siciliano nel quale, tra l’altro, il protagonista del libro è transitato durante il suo lungo percorso di detenzione prima dell’inizio di una nuova vita dopo aver pagato il suo debito con la giustizia. L’autore dimostra di conoscere molto bene la Sicilia e di amarla profondamente, vorrei estrapolare molti paragrafi che lo dimostrano ma mi limiterò a uno solo che riguarda la lingua siciliana (di cui sono una cultrice così innamorata da averne fatto materia di tesi di laurea…): Lo fece nel suo dialetto, in quella lingua senza i tempi del futuro e con un passato prossimo pressochè ignorato, espressione di un popolo del tutto radicato nel trascorso e nel presente, nell’esperienza della tradizione e nel bisogno quotidiano. L’idioma di una stirpe pragmatica per la quale il domani si riadatta nell’oggi, distante dal ravvisare nel tempo venturo un’opportunità su cui progettare, bensì soltanto un giorno fra tanti vissuto in più.

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