VENETIA NIGRA: Recensione ILFONT

IlFontCosì scrive ILFONT di Elvia Grazi di VENETIA NIGRA, recensione a cura del critico letterario Luisa Perlo.

Una Venezia decadente e le peripezie di un giovane Signore protagonisti assoluti per Alessandro Vizzino.

Abbiamo conosciuto Alessandro Vizzino attraverso il racconto della terra di Sicilia in Trinacrime, lo ritroviamo ora a Venezia, ad aggirarsi tra calli e laguna per risolvere misteri dalle tinte fosche. Venetia nigra è il titolo del suo ultimo romanzo, un titolo in cui l’aggettivo qualifica con precisione gli avvenimenti che si sviluppano pagina dopo pagina. È davvero una città nera, cupa, che tenta di dipanare matasse ingarbugliate in cui si susseguono giochi di potere, vendette trasversali, omicidi brutali la Venezia dell’autore, molto lontana dall’immagine edulcorata che spesso ne abbiamo.

Il Settecento veneziano di Alessandro Vizzino

1725: è l’anno in cui la storia si sviluppa, da marzo a maggio, con cadenza lenta ed inesorabile, minando certezze che la Serenissima, la grande repubblica veneziana, sembra aver perso da tempo. Venetia nigra è sostanzialmente un romanzo storico, nel rispetto di tutte le regole fondamentali del genere: un periodo lontano nel tempo e ormai concluso, una topografia realistica, vicende storiche che si intrecciano a vite immaginate coerentemente, in pratica tutto ciò che avrà generato un sorriso compiaciuto nel buon Alessandro Manzoni all’atto della pubblicazione del libro. Ma in realtà c’è molto di più, in quanto la storia si tinge di vari colori, dal rosa al giallo al nero, dal momento che per poter garantire la felicità di due amanti bisogna attraversare l’inferno del dolore e della paura. Alessandro Vizzino, che è originario di Latina, sembra conoscere Venezia come se fosse sempre vissuto sulla laguna, ma a ben guardare ci rendiamo conto che la sua è una Venezia che non esiste più, è la città dei nobili che di lì a pochi anni Carlo Goldoni avrebbe deriso nelle sue commedie, dando voce ad un popolo che mai ne aveva avuta e condannando il parassitismo di una classe sociale in procinto di eclissarsi. Nei primi anni del secolo la situazione è ancora in stallo, le rivoluzioni sono lontane a venire e i rampolli delle famiglie nobili si preoccupano di impiegare il loro tempo tra feste e avventure amorose, tra il gioco e le imprese militari. L’acqua cheta della laguna, però, è un’acqua nera e torbida, come lo sono i crimini orribili che vengono commessi sistematicamente ai danni di giovani donne che la sorte ha relegato al ruolo di derelitte e che guadagnano il necessario per vivere prostituendosi lungo i canali della città, non distante dagli istituti di carità presso i quali sono ospitate.

Amore e morte nel romanzo di Alessandro Vizzino

Protagonista assoluto è il Nobilhomo Nicolò Testier Gritti, modello della sopracitata nobiltà settecentesca: donnaiolo impenitente, dedito al gioco e fortunato in amore, ottiene in premio, per una serie di vittorie allo Sbaraglino, di trascorrere una notte con Elisabetta Pitacchi, avvenente moglie di Marcello Pitacchi, il perdente,  di cui Nicolò si innamora, ricambiato. L’intreccio muove dunque da questo iniziale gioco d’amore, che vede Elisabetta fuggire a Venezia insieme a Nicolò, abbandonando la casa del marito, sconfitto nel gioco e nell’amore e pronto a vendicarsi in qualsivoglia modo di chi lo ha doppiamente umiliato. La madre di Nicolò, però, desidera altro per il figlio, orfano di padre: la sua volontà è quella di legare la famiglia Testier Gritti a quella dei Sandi, per rafforzare patrimonio e influenza sociale, attraverso il matrimonio del suo primogenito con la loro figlia Chiara. Desiderio inconciliabile con l’amore che Nicolò prova per Elisabetta e che è disposto a proteggere a costo della vita. Ma improvvisamente gli eventi precipitano, la felicità che sembrava a portata di mano si allontana repentina lasciando il giovane incatenato nelle patrie galere della Serenissima. A ingarbugliare gli eventi sono stati un violino destinato ad Antonio Vivaldi che Nicolò è andato a ritirare a Cremona, la sparizione improvvisa di Elisabetta, il ripetersi degli omicidi delle giovani prostitute ed un tentativo di colpo di mano ai danni del Doge per mescolare le carte della politica veneziana. C’è poi una moneta scalfita che passa di mano in mano a complicare la vicenda costituendo motivo di ricerca e di attenzione: essa è stata data da Nicolò al mercante d’arte Alfonso Bottin, che sarà anch’egli vittima di omicidio, per acquistare un dipinto di Antonio Canal, il paesaggista che passerà alla storia come il Canaletto. Sono pochi gli amici che credono all’innocenza del giovane Testier Gritti accusato di essere l’efferato assassino di prostitute che i gendarmi non riescono ad arrestare, ma tra questi ci sono Giorgio Aliprandi, Capitano Grande, e Zanetta Farussi, suo amore giovanile ed ora moglie di Gaetano Casanova e mamma del piccolo Giacomo, i quali faranno tutto quanto è in loro potere per aiutare l’amico. Storie private e storia pubblica si intrecciano strettamente e sembrano insolubili, sino a quando saranno i particolari a mettere sulla strada giusta chi indaga e a restituire a ciascuno il suo ruolo e la sua dignità.

Sullo sfondo sempre lei, la città decadente e unica, una bellissima prostituta sfuggente: non si negava a nessuno, ma nessuno ne avrebbe mai colto la reale essenza, nemmeno possedendola un milione di volte.

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